Accesso basato sulla formazione, non sulla precarietà

l mercato del lavoro, basato su un dualismo inaccettabile, deve porre termine alla discriminazione dei giovani garantendo un accesso basato sulla formazione e non sullo sfruttamento della precarietà.

Si deve tradurre nei fatti la formula, semplice e chiara, lanciata con il programma di Italia Bene Comune: il lavoro flessibile e discontinuo deve costare più di quello stabile. Altrimenti significa precarietà.

Equa distribuzione dei redditi e equa remunerazione (il “lavoro di qualità”) devono andare di pari passo.

Nei dieci anni in cui è stata al Governo la destra ha mirato sistematicamente a ridurre e, in più di un caso, eliminare ogni forma di tutela normativa e di regolazione degli accessi.

La pretesa era che si sarebbe reso più facile l’accesso al lavoro con un conseguente aumento di occupazione.

Invece, l’occupazione è rimasta al palo, è peggiorata per i giovani, in particolare nel Sud.

Più di 2/3 delle assunzioni sono a tempo, di breve durata, è dilagato un lavoro formalmente autonomo privo di autonomia sostanziale, senza potere contrattuale.

Per l’obiettivo di un lavoro di qualità ed equamente remunerato occorre creare un adeguato sistema di convenienze per premiare il ricorso lavoro stabile ed introdurre contrappesi nei contratti flessibili.

• diminuire, già nell’immediato, le tasse sui redditi da lavoro;

• alleggerire gli oneri indiretti (fiscali e contributivi) sul lavoro stabile, IRAP e IRES, e contributivi (senza pregiudizio del montante INPS) sul lavoro stabile, in quanto rapporto ”tipico”;

• introduzione nei contratti flessibili di contrappesi attraverso la contrattazione (parametri retributivi, formazione, tutele e diritti): introduzione del contratto unico di inserimento; modello standard di accesso per i giovani, con apprendistato professionalizzante, con una durata minima e massima fissata nella contrattazione, tipologie di prestazioni, garanzie per l’effettivo contenuto formativo, esigibilità contrattuale della qualificazione conseguita: in generale, non uscire dalla scuola senza esperienze di lavoro, non entrare al lavoro senza formazione iniziale;

• un salario minimo definito tramite accordo interconfederale sulla base dei minimi contrattuali vigenti nella contrattazione di categoria

Negli anni del Governo della destra abbiamo assistito a un’offensiva su più fronti (welfare, diritti sul lavoro, previdenza) che ha portato a un sensibile regresso.

Si deve cambiare strada: scommettere sul dialogo tra le parti sociali senza impedire il conflitto ma impegnando le istituzioni per favorire un suo esito funzionale agli interessi generali (sviluppo equo e sostenibile, coesione sociale).

Promuovere un’impresa attenta ai fini sociali, con modelli di gestione aperti alla partecipazione dei lavoratori e un sindacato la cui rappresentatività sia basata (e misurata) su regole democratiche e trasparenti.

In base all’accordo sindacati-Confindustria sui livelli di contrattazione (oltre a parti dell’accordo per Expo 2015) e al pronunciamento della Consulta sull’art. 19 esistono le condizioni per definire, concertandola con le parti sociali, una legge di attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione basata su: piena autonomia delle rappresentanze;

criteri obiettivi di rappresentatività sia a livello nazionale, per la stipula dei contratti, che a livello aziendale, per le parti dei contratti nazionali rinviate a quel livello così come per questioni specifiche inerenti la gestione aziendale; certezza di basi giuridiche ai contratti di lavoro;

forme di democrazia industriale che senza sostituirsi al conflitto distributivo, nella separazione dei ruoli, prevedano un intervento dei lavoratori nella gestione delle imprese maggiori (come valore aggiunto, non come orpello, o minaccia).

(Tratto dalla Mozione Congressuale di Pippo Civati)

Accesso basato sulla formazione, non sulla precarietàultima modifica: 2013-11-06T11:00:00+01:00da eug-martello64
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